Sembra un destino certo che il paziente in seguito a un ictus a un certo punto del proprio percorso debba fare i conti con uno stato depressivo, in alcuni casi, vengono prescritti antidepressivi in modo preventivo perché la statistica parla chiaro, prima o poi il paziente potrebbe sviluppare un quadro di depressione. Sembrerebbe che io non possa parlare di questo tema, perché al fisioterapista viene dato il permesso di parlare solo del corpo, mentre la mente ed i suoi problemi appartengono ad altri professionisti, ma ne parlerò comunque perché mi occupo di riabilitazione della persona, non solo della prestanza fisica del suo corpo e questo tema della depressione rischia di essere un anello in più che si aggiunge alla pressante catena che obbliga il paziente post ictus a un percorso di cura potenzialmente inefficiente in termini di recupero.
Partiamo dalla premessa che Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo…
È intuibile anche per i non addetti ai lavori che l’ictus è un evento drammatico che causa una lesione dell’organo più complesso e importante del nostro corpo; un ictus nel giro di pochi secondi è in grado di catapultarti da una vita fatta di impegni, soddisfazioni, delusioni, sogni affetti e relazioni a una vita completamente diversa in un corpo irriconoscibile che non vuole rispondere ai comandi del cervello. Da quel giorno la persona non è più il Sig. Rossi o la Professoressa Bianchi, sarà IL o LA paziente. Nemmeno la più abile delle penne dedite a storie horror, avrebbe saputo materializzare in modo così vivido il peggiore degli incubi. Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo…
In alcuni casi in cui la lesione cerebrale coinvolge l’emisfero destro cervello, il paziente può soffrire di una sindrome piuttosto bizzarra che prende il nome di anosognosia, ovvero inconsapevolezza del proprio stato patologico, ebbene, queste persone che nonostante abbiano un’ emiplegia sinistra (paralisi del lato sinistro del corpo) e come tutti al principio non riescono né camminare, né a muovere un braccio, mantengono un certo livello di umore, sembrano non essere sconvolti dall’evento, a volte appaiono anche gioviali. Sono pazienti che non avendo una piena consapevolezza della propria malattia, sono certi di tornare a lavoro in pochi giorni e di riprendere la propria vita da dove l’avevano lasciata. Non appaiono particolarmente colpiti dall’evento, non sono tristi, non ci sono segni di depressione, ma sono pazienti con cui è molto complesso impostare un piano riabilitativo, proprio perché non riconoscendo la patologia, stentano a riconoscere anche la necessità di impegnarsi nella riabilitazione. In questi casi i pazienti, proprio a causa della loro lesione, non sono non grado di poter vivere appieno emozioni come tristezza, paura e ansia che in seguito a un evento stravolgente come questo, ciascun individuo proverebbe.
Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo…
I pazienti che invece non sono colpiti da questa sindrome bizzarra come l’anosognosia, sono in grado di vivere totalmente tutte le emozioni che normalmente possono essere generate da un evento drammatico e inatteso come quello dell’ictus, a cui nessuno è preparato e su quale nessuno è in grado di poter muovere ipotesi e previsioni su quello che sarà il futuro, tuttavia, nelle primissime fasi in in seguito all’incidente il personale sanitario prepara la famiglia alla gravità di ciò che è accaduto facendo presente che le possibilità di recupero sono minime e qualora esistenti, si mostreranno entro i primi sei mesi massimo un anno: “il paziente post ictus può recuperare entro un anno”, questa è la sentenza più frequente che pazienti e familiari ascoltano già dai primi giorni in ospedale. Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo…
Nelle prime settimane e mesi, spesso il paziente mostra i primi segni di recupero, riesce a mettersi in piedi, muove i primi passi e questo si accompagna anche a una certa reazione emotiva del paziente che identificandosi in un guerriero in lotta contro un mostro, mette in gioco tutta la sua determinazione. Il tempo passa, migliora la autonomia del paziente, generalmente nei confronti del cammino mentre il braccio e la presa rimangono indietro, ma la data di scadenza del recupero identificata al dodicesimo mese si avvicina inesorabile, giorno per giorno e la sensazione di aver perso la battaglia contro il mostro inizia a farsi spazio. Per i pazienti sconfiggere il mostro significa guarire e nonostante i progressi siano stati molti, il senso di sconfitta e di vergogna per non essere riusciti nell’impresa prendono il sopravvento. Il percorso di riabilitazione è stato incentrato sul recupero dell’autonomia, quindi rivolto specialmente al cammino, con attività rivolte alla parte fisica, muscolare e questo tende ad aumentare la rigidità caratteristica della spasticità che a sua volta ostacolerà la possibilità del paziente di accedere ad un recupero di qualità. Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo…
La mia riflessione personale è rivolta al nostro modo di interpretare le emozioni come tristezza, paura e incertezza, viste come patologie da curare, nonostante nascano da un evento realmente drammatico come quello di un ictus che stravolgerebbe la vita di chiunque, mentre è la patologia a produrre l’effetto contrario, quello di non permettere al paziente di vivere tali emozioni in modo consapevole come nel caso dell’anosognosia.
Infine il pensiero ricade anche sul contesto in cui i pazienti si trovano a ricevere la propria cura, da una parte loro stessi interpretano il recupero come il ritorno a ciò che erano un istante esatto prima dell’ictus facendo coincidere l’idea di recupero con quella di guarigione, mentre dall’altra parte, questa lotta frenetica contro il mostro, a detta di tutti, dovrà avvenire entro una data esatta oltre la quale non ci saranno più grandi speranze di poter migliorare.
Il paziente statisticamente potrebbe presentare segni di un quadro depressivo e i numeri in medicina non mentono, tuttavia mi sto interrogando anche se il modo in cui vengono impostati il percorso di cura, la riabilitazione e la comunicazione con il paziente non siano in qualche modo partecipi dell’insorgere di una condizione emotiva così diffusa nei pazienti che soffrono gli esiti di un ictus.
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