“Il recupero avviene entro primi 12 mesi e non oltre”
“Non è detto che ritorni a camminare”
“Se non recupera entro i primi 6 mesi preparatevi a un’assistenza totale”
Il mio è un appello a medici e fisioterapisti che entrano in contatto nei primi mesi con i pazienti che hanno subito un ictus ai quali vengono dette queste frasi. Ovviamente ci sono delle varianti, i più democratici parlano di 18 mesi, ma la sostanza fatta intendere a pazienti e familiari è che se il recupero avviene entro questa finestra di tempo bene, altrimenti bisogna rassegnarsi.
Capisco la volontà di preparare paziente e familiare ad una realtà cruda e non di voler cadere nel rischio di alimentare false speranze, ma ho il timore che il fatto di non rivedere questi pazienti dopo il fatidico anno, vi faccia perdere il contatto con la realtà di quanto la persona possa sentirsi morire dentro quando ascolta questo verdetto nel momento di maggior fragilità che un essere umano possa vivere. Condanna tra l’altro emessa dall’unico giudice importante in quel momento: il medico che lo ha in cura o il fisioterapista che dovrà aiutarlo a guarire.
Nell’istante esatto che la famiglia ascolta queste parole si innesca un timer invisibile con un conto alla rovescia che in ogni istante gli ricorderà il giorno in cui la spada di Damocle cadrà sulle loro teste.
L’appello è di affrontare la discussione su due piani: uno tecnico e uno umano, che se poi andiamo a vedere non sono poi così distinti tra di loro, perchè migliorare il rapporto umano con il paziente e il caregiver facilità certamente i risultati tecnici ed essere più attenti dal punto di vista tecnico facilita le relazioni umane.
Dal punto di vista tecnico, sono consapevole che potreste seppellirmi di letteratura fatta di papers dove queste date di scadenza vengono riportate con rigore scientifico sulla media di misurazioni ottenute da centinaia se non migliaia di casi clinici di pazienti post stroke. Sono certo che questi studi rappresentano la verità, o meglio “una verità” incontrovertibile. È vero il paziente che riceve un certo tipo di riabilitazione e viene misurato con certe scale, oltre i 12 mesi potrebbe non avere a disposizione altro recupero. Vorrei però portare la discussione sul tema chiave della questione che è la plasticità del sistema nervoso centrale, di cui tutti noi che operiamo nel campo del recupero post ictus siamo chiamati ad essere più che esperti, perchè tutto gira intorno alle capacità plastiche del sistema nervoso che però da quanto si evince dai verdetti sopra citati sembrerebbe avere una data di scadenza piuttosto precisa: sbaglierò ma questa scadenza non mi risulta.
Quando ci riferiamo al cervello è chiaro che dobbiamo fare ancora molti progressi per migliorarne la nostra comprensione, ma molti passi sono stati fatti per comprendere specialmente cosa avvenga a livello neurofisiologico in seguito una lesione a carico del sistema nervoso centrale. In una prima fase il paziente subisce uno shock centrale: l’inibizione massiva a livello sinaptico come misura di protettiva e ristorativa (definita anche diaschisi). Dal punto di vista clinico e motorio il paziente appare “flaccido”, non riesce a stare seduto senza perdere il controllo del tronco, questa fase potrebbe durare circa due mesi, mentre il paziente dopo queste prime settimane potrebbe iniziare a mostrare i primi movimenti. Da qui il paziente inizia una progressione in termini di recupero piuttosto rapida perchè l’organismo da uno stato di inibizione passa ad uno successivo di ipereccitabilità e dal punto di vista clinico il paziente inizia a vedere i primi movimenti di quella parte del corpo che era stata data per morta, ma si tratta perlopiù di movimenti riflessi o sinergici ( flessione della mano e del braccio e distensione della gamba), entra per tanto in una fase spastica. Va chiarito che non tutte le strutture nervose vengono liberate dall’inibizione, solo quelle con il minor numero di sinapsi ovvero riflessi e movimenti grossolani, perchè le strutture superiori possono rimanere inibite per tutta la vita se non opportunamente stimolate.
Fase che verrà sfruttata rapidamente dalla riabilitazione perchè anche i professionisti sanitari hanno il loro conto alla rovescia personale dettato dai tempi messi a disposizione dal sistema sanitario nazionale, infatti il paziente dopo 60 giorni di ricovero nella clinica convenzionata sarà dimesso. Per questo la riabilitazione sarà rivolta specialmente ad ottenere un recupero dell’autonomia del paziente sfruttando anche queste prime risposte riflesse offerte dalla natura neurofisiologica del sistema nervoso. Il paziente recupera molto rapidamente, se paragoniamo lo stato in cui versava i primi giorni dall’ictus, ma il cammino è piuttosto incerto e spesso ha bisogno di indossare un tutore al piede per contenere gli effetti della spasticità mentre il braccio il più delle volte è inutilizzabile perchè irrigidito dalla spasticità. Il paziente in questi primi 12 mesi viene meticolosamente misurato con scale quantitative che ne rilevano l’autonomia nel gestire la cura della propria persona (vestirsi, igiene personale, ecc), tutte attività che possono essere svolte dal paziente anche senza alcun movimento qualitativo del braccio e della gamba plegici (es. scala di Barthel). Entro i 12 mesi l’organismo che ci aveva garantito un potenziamento della vivacità nervosa in grado di farci creare nuove connessioni, ritorna in una condizione di normoeccitabilità. Il bagaglio di connessioni che il paziente è stato in grado di esercitare però consiste in movimenti elementari e sinergici, come quello di camminare senza flettere ed estendere il ginocchio perchè sostituito dal più grossolano sollevare il fianco, la supinazione e l’irrigidimento del piede vengono contenuti da un tutore rigido e il braccio ha pochi movimenti non funzionali a livello della spalla e dopo i primi tentativi si irrigidisce il braccio e la mano si chiude. Il paziente con questo bagaglio di recupero elementare fatto di movimenti poveri e spastici si troverà poi a farci i conti con il resto della sua esistenza, quindi riconosco che dire che il paziente non possa recuperare oltre i 12 mesi rappresenti una verità, fatta di una riabilitazione che è in grado di sfruttare solo una minima parte della plasticità del sistema nervoso, ovvero quella della liberazione dalla morsa dell’inibizione delle strutture nervose con il minor numero di sinapsi.
Quali attività sono state svolte durante questi 12 mesi che potessero incidere su quei circuiti nervosi più complessi di quelli riflessi e che richiedono l’attivazione dei processi cognitivi del paziente come apprendimento, attenzione, percezione e pianificazione? Una possibile risposta a questa provocazione in genere è che il paziente ha ricevuto un intervento multidisciplinare proprio come suggerisce la letteratura, ma che poi nella sostanza si traduce in una addizione di fattori terapeutici senza interrelazione, il fisioterapista che si rivolge alla sola parte corporea e il neuropsicologo che si rivolge a quella esclusivamente cognitiva, come se le due cose fossero separabili.
La plasticità del sistema nervoso centrale non ha una data di scadenza come un genere alimentare quindi appare anche logico che se statisticamente alla fine esce fuori una scadenza media di 12 mesi è perchè in questi 12 mesi stiamo facendo qualcosa che potrebbe limitare gli sviluppi successivi del paziente.
Dal punto di vista umano, non ho molto altro da dire, riconosco che avere a che fare con il dolore ogni giorno ci spinga come professionisti a doverci schermare in qualche modo e che i nostri ritmi di lavoro spesso non ci permettono di passare del tempo con i pazienti e familiari per spiegare con maggior chiarezza cosa è accaduto e cosa succederà nel futuro, per questo ritorno sull’aspetto tecnico anche in relazione al mondo in cui comunichiamo con la famiglia. Una sentenza di non-recupero o di limite di tempo a volte rischia di essere autoavverante perchè il paziente e la famiglia ripongono in noi tutta la fiducia, e questo potrebbe incidere proprio sul loro modo di essere aderenti alla riabilitazione ed impegnarsi nel migliore dei modi.
Se siamo tutti d’accordo che la plasticità del sistema nervoso centrale non può avere una data di scadenza come c’è l’hanno le mozzarelle nel frigorifero, se siamo d’accordo che quello che vediamo nei primi mesi del paziente non rappresenta il reale risultato della lesione perchè si trova a ancora all’interno di una fase di inibizione, infine, se è capitato che qualche nostro paziente abbia rappresentato un’eccezione a tale regola dei 12 mesi, allora potremmo provare ad introdurre maggiore indeterminazione nelle nostre previsioni. Senza negare che una lesione cerebrale sia un evento grave, forse il più grave che un essere umano possa subire, ma che il sistema nervoso è dotato di plasticità e che questa dipende anche dal modo in cui verrà portata avanti la riabilitazione sia da parte del paziente che da parte dei professionisti incaricati.
Se qualche professionista, fautore dei 12 mesi vorrà rispondere portando avanti la necessità etica di non infondere false speranze nel paziente chiedo gentilmente di rileggere il testo e di riflettere anche sulla differenza che c’è tra false speranze e tra false disperazioni.
Rimanendo in tema di professionisti, il nostro impegno si realizza anche attraverso la scuola di specializzazione Neurocognitive Academy, dove i fisioterapisti si specializzano nella Riabilitazione Neurocognitiva di Perfetti. Spesso i nostri lettori ci scrivono per conoscere i nominativi dei fisioterapisti specializzati nella propria città, per questo abbiamo raccolto in una lista, una selezione dei nominativi degli allievi in corso di formazione presso l’accademia. Consulta la lista
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Caro Valerio,
non posso che concordare con te! Mio fratello è stato colpito da ischemie cerebrali in seguito ad una operazione per dissecazione aortica. Ci avevano detto che sarebbe rimasto locked in syndrome. Invece dopo 2 mesi si è risvegliato.
Per due anni è passato da ospedale in ospedale e ha subito diverse altre operazioni.
E’ rimasto leso nella parte sinistra del corpo (braccio e gamba) e anche li ci avevano detto che non c’era nulla da fare.
Dopo 3 anni c’è stato il SUO RISVEGLIO personale, è scattata la voglia di riprendersi e sono cominciati i miglioramenti. Si è impegnato con la fisioterapia e la palestra e oggi, a distanza di 6 anni e mezzo dalla lesione posso dirti che comincia a fare i primi passi senza bastone.
Sono Naturopata e ho sempre cancellato dalla mia mente e da quella dei miei familiari le sentenze che ci venivano date dai medici (pur rispettandole e comprendendo fino in fondo le loro ragioni). E credo che questo nostro atteggiamento di credere in mio fratello, il nostro appoggiarlo e incoraggiarlo abbiano senza dubbio contribuito al suo ‘voler ritornare alla vita’.
Certo non è facile, ci vuole impegno ma i miglioramenti ci sono. E ogni piccola conquista è il carburante per spingersi ancora più in là oltre ogni ragionevole dubbio interno o indotto.
Grazie per quello che fai!
NON SOLO UN ICTUS NON E UGUALE AD UN ALTRO MA SOPRATUTTO LA CAPACITA DI REAZIONE DA PARTE DEL SOGGETTO POST ICTUS E DECISAMENTE INDIVIDUALE.
TUTTAVIA NELLA ‘REGOLA’ DEI SEI MESI C’E UN FONDO DI VERITA PERCHE E INNEGABILE CHE, CON UNA DETERMINATA VOLONTA DI RECUPERO ED UN GRANDE AIUTO FISIOTERAPICO, I RISULTATI CONSEGUITI NEI PRIMI SEI MESI SARANNO DETERMINANTI SULL’ECONOMIA DI TUTTO IL POSSIBILE RECUPERO.