Il paziente e i suoi familiari sono alla costante ricerca della terapia più efficace per ottenere il miglior recupero post ictus.
Nella maggiorparte dei casi le ricerche iniziano fin da subito, ma sono rivolte a capire cos’è l’ictus e cosa aspettarsi in futuro, perché dal punto di vista terapeutico le scelte sono obbligate e l’iter è già stabilito a priori. In termini generali la persona che subisce un ictus viene ricoverata in ospedale per circa un mese, tempo necessario per far di tutto per salvargli la vita e stabilizzare le condizioni cliniche; in assenza di complicanze che potrebbero allungare questo primo ricovero quali infezioni urinarie o polmoniti, il sopravvissuto verrà trasferito in una clinica di riabilitazione convenzionata dove rimarrà in regime di ricovero per altri 60 giorni circa. In clinica, a differenza dell’ospedale, i pazienti riceveranno un’attenzione dedicata alla riabilitazione, si farà di tutto per metterli in piedi e ridargli la massima autonomia possibile. Ci troviamo al termine dei primi 3 mesi in seguito all’ictus e, considerando le condizioni iniziali, dove i pazienti non erano nemmeno in grado di stare seduti perché non controllavano il tronco, ora la maggiorparte di loro riescono a fare alcuni metri camminando e anche se con una certa assistenza da parte dei familiari, sono in grado di spostarsi all’interno delle mura domestiche. Risulta chiaro che i pazienti hanno ancora bisogno di molta riabilitazione, in alcuni casi è previsto che possano continuare a frequentare la clinica convenzionata in regime di day hospital ricevendo per altri 3 mesi alcune sedute settimanali di fisioterapia o riceveranno la visita a casa di un terapista della ASL. Già in questa fase avviene la ricerca di un fisioterapista privato che possa venire in casa e dare continuità alla riabilitazione ricevuta in clinica ed è qui che iniziano i primi dubbi sul tipo di metodo o tecnica, è un periodo di grande stress perché inizia a pesare il peso della carico, l’iter terapeutico non viaggia più su rotaie già fissate da altri, ma è qualcosa che si deve costruire con tutte le incognite e i rischi di prendere decisioni legate alla salute in un campo di cui non si è esperti.
È da qui che iniziano le domande su quale riabilitazione è più adatta o addirittura domande ancora più puntuali su esercizi specifici in grado di risolvere problemi specifici: “dammi un esercizio per aprire la mano” oppure “che esercizi fare per le dita del piede ad artiglio”. Le nostre caselle mail e i post sui social sono pieni di domande di questo tipo.
È assolutamente normale pensare in questo modo, purtroppo però tale modalità di vedere il problema focalizzandosi solo su una frazione dello stesso, porterà a rimedi che hanno la stessa caratteristica di parzialità, come ad esempio interventi chirurgici rivolti a correggere meccanicamente e localmente un problema neurologico quale la spasticità oppure trattamenti con tossina botulinica che hanno il proposito di rilassare i muscoli inibendo le giunzioni tra nervo e muscolo.
LA DOMANDA È COME COSTRUIRE IL SISTEMA TERAPEUTICO
Il problema non è a quale intervento sottoporsi, quale esercizio subire o quale riabilitazione ricevere, il problema è come costruire il sistema terapeutico più efficace. Fintanto che non sposteremo l’attenzione dall’elemento singolo, al sistema in cui è inserito saremo sempre soggetti a soluzioni parziali e con tutta probabilità inefficaci. Per poter spiegare il significato di sistema terapeutico, dobbiamo comprendere cosa sia un sistema prima di tutto.
Il sistema è una qualsiasi struttura composta da elementi che interagiscono tra di loro. Ogni elemento preso singolarmente ha la sua identità e le sue funzioni, ma non possiamo affermare che la funzione del sistema sia il risultato della somma delle funzioni dei singoli elementi.
Un orologio è un sistema ed è composto da molti elementi, ogni singolo ingranaggio dell’orologio ha una sua identità e una sua funzione, ma nessun pezzo dell’orologio singolarmente è in grado di segnare l’ora, questa è una proprietà che emerge dalla relazione reciproca tra tutti i pezzi dell’orologio. Il sistema terapeutico funziona come l’orologio, ha una sua proprietà emergente che è il recupero e ha i suoi elementi che lo compongono che sono essenzialmente: il paziente, i familiari, e i terapeuti.
Ogni singolo elemento del sistema terapeutico partecipa al recupero, ma non incide su di esso in modo isolato ed esclusivo. Il paziente più determinato e aperto ad apprendere, si troverà limitato se avrà al suo fianco una famiglia che non in grado di consentirgli di ricevere cure adeguate a o se incontrerà nel suo cammino dei professionisti non preparati nell’affrontare il recupero post ictus.
Il sistema terapeutico è un tavolo a tre gambe, qualora ne venisse a mancare una verrebbe meno l’intero equilibrio.
Per allenarci a ragionare in termini sistemici, pensiamo al contrario quando la famiglia è presente ed è in grado di offrire al malato le migliori cure e professionisti, ma il paziente nonostante l’impegno non è predisposto all’apprendimento: anche in questo caso il risultato finale sarà compromesso.
DIFFERENZA TRA RAPPORTO E RELAZIONE
Fin qui tutto piuttosto ovvio, era già scontato il fatto che il paziente si deve impegnare, il familiare lo deve sostenere e il professionista deve essere preparato, nulla di nuovo, ma è proprio nell’ovvio che si nascondono le insidie più dannose. È vero abbiamo semplificato il sistema terapeutico e abbiamo identificato solo tre elementi fondamentali, paziente-familiare e terapeuta, ma la complessità non sta nel saper agire su ogni singolo elemento bensì sulla loro relazione reciproca, perché proprio come l’orologio che non è in grado di segnare l’ora se gli ingranaggi non sono messi nella giusta relazione reciproca, anche il recupero non riuscirebbe ad emergere dal sistema terapeutico senza una relazione efficace tra le parti di cui è composto. Può sembrare ancora un’ovvietà, perché è chiaro che il terapista per fare il suo lavoro deve entrare in rapporto con il paziente e che quest’ultimo debba rapportarsi con il familiare, ma la relazione va oltre il rapporto e la differenza tra rapporto e relazione abbiamo imparato a riconoscerla negli affari di cuore, infatti avere un rapporto con una persona non significa avere una relazione solida che invece è possibile solo quando nella coppia si condivide la stessa visione della vita e si interpretano gli eventi in modo complementare. Questo tipo di relazione fa della coppia una nuova entità, un sistema che va oltre alla somma degli elementi che lo compongono.
COMPRENDERE E INTERPRETARE IL CORPO, IL RECUPERO E IL MOVIMENTO
Visione, interpretazione, comprensione, adattabilità, apprendimento sono solo alcune delle caratteristiche delle relazioni tra paziente-familiare e terapista che si devono combinare per portare il recupero a un livello superiore. Come è possibile che la visione e l’interpretazione sia una qualità in grado di facilitare il sistema terapeutico o di renderlo inefficace in termini di recupero? Alcuni esempi pratici potrebbero aiutarci a comprendere come sia necessario che la triade paziente-terapista e familiare costruisca una visione affine e complementare di tutti i concetti con i quali dovranno fare i conti.
SPASTICITÀ
Immaginiamo il contesto in cui il fisioterapista sia consapevole che la spasticità rappresenta un elemento della patologia e che fin quando il paziente non imparerà a tenerla sotto controllo in modo consapevole, sarà un ostacolo al recupero di movimenti di qualità, mentre al contrario il paziente interpreta le reazioni spastiche come dei movimenti che devono solo essere rinforzati per poter raggiungere sempre più autonomia; quale potrebbe essere il risultato finale se durante la terapia il paziente è chiamato a imparare a non far comparire la spasticità e invece nelle ore libere al contrario fa di tutto per esercitarsi rinforzando la spasticità (magari con la complicità del familiare)? Potrebbe accadere anche il contrario ed essere il familiare ed il paziente consapevoli che sia necessario passare per il cervello e le sue funzioni per ottenere il recupero, ma tutte le cure proposte dai professionisti invece sono sempre rivolte alla sola parte fisica del corpo, anche in questo caso il risultato finale non può essere uguale a quello potenzialmente raggiungibile con una visione comune e un sistema ben organizzato ed affiatato. La spasticità è solo uno dei tanti concetti su cui il sistema deve confrontarsi e nemmeno tra i più complessi ed insidiosi (Leggi approfondimento sull’interpretazione della spasticità), ce ne sono molti altri che mettono in crisi il sistema e ogni singolo partecipante, come ad esempio il concetto di recupero.
RECUPERO
Ancora una volta nell’ovvio si annida il pericolo, perché è difficile pensare che il concetto di recupero, così chiaro e inequivocabile, possa essere soggetto di interpretazioni diverse. La parola stessa dal latino Re- INDIETRO e Capere- PRENDERE, significa proprio appropriarsi nuovamente di qualcosa che era di nostra proprietà e che ci è stata sottratta o che abbiamo smarrito: si recupera un credito, un dipinto rubato, le chiavi da un tombino. Recuperare viene visto come il riappropriarsi della vita tale e quale come era un istante prima dell’ictus: il recupero diventa l’obiettivo e non il processo, una sfida contro un mostro che spinge il paziente a calarsi nei panni di un eroe guerriero che avrà solo due possibilità: vincere, sconfiggere il mostro, quindi, guarire o perdere e abbandonarsi alla disabilità. Interpretare il recupero come risultato non lascia spazio a risultati intermedi a differenza del recupero visto come un processo che può portare a obiettivi diversi. Proviamo a pensare come cambierebbe invece l’atteggiamento del sistema, se il recupero venisse interpretato come un processo di apprendimento in condizioni patologiche. Il paziente non rimarrebbe più passivo nell’attesa dell’arrivo del terapista sul quale riporre tutte le speranze e dal quale si aspetta di ricevere un intervento diretto sul corpo, in grado di modificarlo e in grado di fargli produrre movimenti, magari aprire la mano o correggere le dita in atteggiamento di en griffe. Allo stesso modo il familiare non sarebbe alla continua ricerca di tutori, oggetti , macchinari o interventi in grado di ribaltare la situazione, ma vedrebbe gli esercizi come esperienze dalle quali imparare delle regole e nuovi modi di entrare in relazione con il proprio corpo e con l’ambiente circostante.
ZOOM E GRANDANGOLO
“C’è stato un tempo in cui i disegni botanici raffiguravano sempre più organismi. Questi dipinti del 1600 e del 1700 sono così raccontanti… L’ecologia interrelazionale contava.” (N. Bateson 2022)
La Bateson commenta alcune immagini dell’artista botanica Maria Sybilla e continua dicendo: “L’illustrazione botanica successiva raffigurò singoli organismi. Poi parti di organismi. Abbiamo bisogno di tutto… dello zoom e del grandangolo”
In conclusione, se per il paziente e il familiare è normale pensare di poter risolvere problemi puntuali con interventi puntuali, per il professionista esperto del campo in cui opera non è sufficiente pensare alla riabilitazione in termini elementari ed è richiesto che intervenga non solo sul paziente e il suo corpo, ma che incida sull’intero sistema terapeutico, sulla comprensione degli eventi rilevanti e sulle relazioni reciproche tra paziente-familiare-terapista.
Se non hai ancora scaricato l’ebook gratuito sull’ictus e il recupero lo trovi qui, all’interno trovi 4 esempi di esercizi da provare in casa e un decalogo di cose da sapere molto importanti.