Uno dei vantaggi di coinvolgere il familiare nel recupero del proprio caro che ha subito un ictus, è indubbiamente quello di permettere all terapista di conoscere in modo molto più approfondito come si comporta il paziente quando vive il suo quotidiano. Una riabilitazione dove il paziente viene fatto entrare inn palestra e il familiare invece messo alla porta senza un contatto diretto con il riabilitatore, non è solo inumana, ma anche poco produttiva dal punto di vista tecnico; perché il familiare è comunque una fonte di informazioni preziose sul comportamento del paziente al di fuori della palestra. Il mandato del fisioterapista non è solo quello di produrre modifiche nei pazienti mentre sta con loro in palestra, ma quello di assicurarsi che ciò che insegna ai pazienti, questi poi siano in grado di trasferirlo nel quotidiano, per questo il familiare è un alleato imprescindibile che non deve essere messo alla porta; è parte integrante del sistema terapeutico.
Proprio ieri mentre lavoravo insieme con un paziente e sua moglie, il mio sguardo cadde sorpreso sulla pelle del volto del mio paziente che appariva perfettamente rasata, per questo con una pacca sulla gamba mi congratulai con lui, perché con una paralisi del lato destro, alcuni cenni di aprassia e difficoltà di attenzione nei confronti del corpo, mi sarei aspettato perlomeno alcune zone del volto non rasate a dovere e qualche graffio.
“No doc, la barba gliela faccio io” disse la moglie”.
Rimasi deluso di me perché in otto mesi dall’ictus non avevo affrontato l’argomento prima e un pizzico di delusione era rivolta anche nei confronti del mio paziente perché, se in autonomia e senza l’intervento di nessuno avesse deciso di volersi cimentare nella sua rasatura, avrebbe dimostrato una caratteristica importante per poter affrontare la sua cura; la curiosità e il coraggio di mettersi alla prova. Ad esempio, sono piuttosto certo che quest’articolo venga letto specialmente dal familiare e non dal paziente, perché è facile supporre che il paziente che non prende l’iniziativa per radersi da solo non abbia intenzione, capacità o voglia di leggere un articolo del genere. Siccome sbagliarmi talvolta è anche gradevole, se sei un paziente che non vuole farsi la barba da solo, ma hai comunque letto l’articolo scrivilo pure nei commenti.
A questo punto immagino però lo stato d’animo del familiare che leggendo queste righe, si sentirà supportato da me nelle sue lotte quotidiane con il proprio caro, il cui oggetto del discutere è proprio la sua mancanza di determinazione e avrà voglia di fargli leggere questo post per spronarlo a fare più cose da solo. Non è mia intenzione alimentare queste discussioni quotidiane che invece sono fonte di grande frustrazione in casa, il paziente infatti oltre a sentirsi vittima del proprio ictus, rischia di sentirsi anche colpevole del suo lento e povero recupero, lasciando così spazio a una depressione latente sempre in agguato. Vorrei invece affrontare il tema dal punto di vista tecnico, in modo che sia il paziente che i familiari possano sapere come affrontare il tema del “dosaggio” degli aiuti.
Molte volte mi rendo conto che l’eccessiva assistenza che il paziente riceve dal suo familiare è il frutto anche di un abitudine che affonda le sue radici nei primi periodi del ricovero in seguito all’ictus, dove il paziente era davvero impossibilitato nel compiere anche la minima attività. In quei primi giorni veniva imboccato, faceva i bisogni in un pannolone, doveva essere aiutato anche a tirarsi su dal letto, doveva essere vestito e lavato. Nel frattempo i pazienti sono migliorati, la maggior parte sono riusciti anche a camminare, i più “fortunati” anche ad avere alcuni movimenti del braccio, ma le attenzioni e l’assistenza da parte del familiare non si è adeguata al cambiamento. Per questo ancora succede, che pazienti che potenzialmente siano in grado di scendere al bar sotto casa e prendersi un caffè in autonomia, poi in casa si facciano fare la barba dalla propria compagna o che una volta seduti sulla seggiola della doccia si facciano insaponare e risciacquare senza la minima partecipazione. Non dimenticherò facilmente, quando durante una situazione analoga a quella appena raccontata , venni a conoscenza che la moglie di un paziente che si trovava già in una fase piuttosto avanzata del recupero, con un cammino autonomo e dei piccoli, ma interessanti movimenti della mano plegica, era lei a fare il bidet al marito dopo l’evacuazione: un’asimmetria esagerata tra abilità del paziente e assistenza offerta dal caregiver.
Come anticipato, l’ideale è quando il paziente stesso a sentire la necessità di emanciparsi ed è lui stesso a volersi radere in autonomia, ma in mancanza di questa spinta personale, il caregiver potrà amorevolmente trovare il modo di invogliare il paziente a cimentarsi nella rasatura o anche lasciarlo libero di decidere di radersi o al limite anche di farsi crescere la barba se ancora non ha il desiderio di radersi (emancipazione presuppone anche libertà). Parliamo dei rischi, a meno che il paziente non usi quelle shavette a serramanico utilizzate dal barbiere, i comuni rasoi commerciali sono piuttosto sicuri, nonostante dei piccoli taglietti siano sempre possibili, ma non ci vuole un ictus per farsi dei piccoli tagli durante la rasatura. Quando mi congratulai con il mio paziente per la rasatura perfetta lo feci a fronte del fato che è un emiplegico destro e come sappiamo le lesioni dell’emisfero sinistro del cervello spesso comportano la presenza di note aprassiche, che clinicamente si manifestano con la difficoltà di orientare gli oggetti nello spazio durante il loro utilizzo specialmente quando questi oggetti devono poi entrare in relazione con il corpo stesso, in altre parole, il paziente potrebbe avere difficoltà a mangiare la minestra perché non riesce ad orientare correttamente il cucchiaio rispetto alla bocca o, nei casi più gravi, non riesca proprio a comprendere il tipo di azione da svolgere con un determinato oggetto. In questi casi di aprassia conclamata, al paziente potrebbe essere offerto un rasoio elettrico invece che uno a lama.
Per quanto riguarda la doccia, mi rendo conto che è ancora più difficile che il paziente la faccia per conto proprio e ci sono delle buone ragioni: il bagno è il luogo più pericoloso della casa, perché è scivoloso e pieno di spigoli, ma anche in questo caso, con alcune accortezze di buon senso, possiamo aiutare il nostro paziente a riprendersi in mano alcuni aspetti della propria esistenza.
È corretto che il paziente si segga durante la doccia, sia se in casa ha un box doccia, sia se possiede una vasca.
È corretto che in assenza di un’autonomia sufficiente nella deambulazione, il caregiver aiuti il paziente durante l’ingresso e l’uscita dalla doccia.
È corretto nei primi giorni in cui il caregiver sta lasciando il paziente autonomo nel gestire la sua igiene, rimanga in assistenza vigile anche se dal punto di vista operativo è il paziente a insaponarsi e risciacquarsi, specialmente quando il paziente deve affrontare il lavaggio dei piedi dove potenzialmente il rischio è di cadere anche dalla sedia.
Chiarito questo, il paziente le prime volte, se si trova ad affrontare l’attività con una sola mano funzionante, avrà bisogno di un po’ di tempo per prendere le misure e imparare i suoi spazi. Le prime saranno docce un po più lunghe, forse qualche volta il paziente penserà di aver terminato, ma un po’ di shampoo è ancora tra i capelli. Altre volte il paziente vivrà la sensazione sgradevole del sapone che brucia gli occhi o berrà una po’ d’acqua nel risciacquo, ma d’altra parte oltre a riprendersi un pezzetto della sua intimità, sta anche affrontando dei problemi motori all’interno dei quali avrà l’opportunità di trasferire quanto di buono appreso durante la terapia con il professionista. Purtroppo il recupero non avviene nella palestra del fisioterapista, lì il paziente impara delle cose che però per avere valore devono essere concretizzate nella sua vita reale.
Altro aspetto da chiarire è che non è giusto nemmeno l’eccessivo lasciar che il paziente debba fare per forza tutto da solo, perché in più occasioni abbiamo discusso del problema della spasticità, che compare proprio quando il paziente deve affrontare delle attività più difficili dal punto di vista motorio e cognitivo di quanto non sia in grado di gestire, sarà ancora una volta è il buon senso a guidarci nel livello di assistenza che dobbiamo offrire al nostro paziente. Il problema della spasticità è piuttosto complesso, ho cercato di spiegarlo in modo semplice in questo ebook dove ho riassunto alcuni consigli importanti e quattro esempi di esercizi della neurocognitiva di Perfetti che puoi provare in casa. Puoi scaricare gratuitamente l’ebook da qui