È stato commovente ascoltare le storie di vita dei pazienti. Se è vero che come professionista devo tenere la giusta distanza emotiva per essere loro di aiuto, è altrettanto vero che la mia innata e allenata sensibilità mi permette di immedesimarmi e sentire ciò che sentono gli altri in modo molto profondo. È come se ognuna
di quelle persone mi avesse preso per mano, avesse aperto una porta magica che affaccia su quella che è la sua storia e mi avesse accompagnata dentro, per viverla fino in fondo.
Così è stato il laboratorio di Narrative Therapy a cui hanno partecipato pazienti e familiari di Stroke Therapy Revolution, regalandomi le emozioni preziose delle loro vite intense, a partire dall’infanzia, salendo pian piano verso il punto in cui la loro vita è cambiata per sempre con l’arrivo dell’Ictus.
Attendevo consapevole il colpo di scena di quelle storie, e nonostante non potessi essere sorpresa dall’imprevisto, ogni volta è stato diverso, ogni storia, ogni persona ha reso diversi quei momenti drammatici, ogni volta è stata un’emozione nuova.
Dal laboratorio è nata l’idea di raccogliere i racconti sull’Ictus in un libro, Metaversi, per dare la possibilità ad altre persone di conoscere il mondo dell’Ictus, per potersi avvicinare alla disabilità con consapevolezza, alla possibilità che la vita di ciascuno possa essere stravolta da un momento all’altro. Metaversi racconta di una malattia che apre una porta verso una dimensione sconosciuta e parallela, un metaverso appunto, dove pur restando invariati gli attori e il contesto in cui vivono, cambiano le regole del gioco; è come cadere in un buco nero che ti trasporta in un universo parallelo, in cui alcuni rimangono imprigionati in una sorta di limbo in attesa che tutto magicamente torni come prima, altri affrontano la nuova realtà con coraggio e ricostruiscono un mondo diverso, dove spesso i rapporti affettivi acquistano uno spazio aumentato e la realtà interiore muta profondamente e acquisisce nuove e talvolta inaspettate consapevolezze.
“Questo non è il mio corpo, almeno non questa metà, questo non sono io!” Che cosa può significare non riconoscersi più, guardarsi allo specchio e vedere una persona che riconosci solo per metà?
Inizia a quel punto la lotta contro i demoni interiori, che spesso sono più di uno, a volte sono anche molto spaventosi. Si aggiungono a quelli che già normalmente abbiamo in quanto esseri umani, si amplificano, a guardarli ora sono davvero giganteschi. E ciò che prima riuscivi a tenere a bada, ora pare sfuggire a qualunque tipo di controllo. Come le emozioni, anche quelle fanno ciò che vogliono: arrivano in modo talmente inatteso, che ogni tentativo di gestirle pare inutile. Così si è costretti a sopportate che gli altri ci
vedano piangere o arrabbiarci in un modo in cui mai era successo prima. E non lo vorremmo, no, perché abbiamo un ruolo da mantenere, una dignità, non ci piace farci vedere fragili. La fragilità è una questione troppo intima per essere condivisa in modo disinvolto pure con le persone a noi più vicine.
In balìa di un evento non voluto, di emozioni non richieste, ci si sente spesso come sulla cima di un burrone: un passo in più e cado nel nulla? Cosa c’è da questo punto in poi? Qui non si riesce a vedere niente, a progettare nessun futuro. Da qui si vede solo il passato che adesso appare incredibilmente bello, nonostante tutte le volte in cui ci si lamentava strada facendo. E c’è il presente, un presente non desiderato, di cui non sappiamo che farcene se non buttarlo via, se solo ci riuscissimo.
È un peso enorme questo presente, soprattutto per la famiglia che da un giorno all’altro si trova l’esistenza stravolta, senza avere idea di come muoversi in questo caos, in questa fragilità. Anche i familiari non riconoscono più il proprio caro, perché in effetti sembra molto diverso da com’era prima. Ma è comunque lui, perciò si tenta con ostinazione di continuare la medesima relazione, un romantico ballo con gli stessi
protagonisti, ma con abiti diversi. Ancora è presto per vedere la bellezza della diversità, ancora diversità ha un senso di qualcosa che manca, che non c’è più. Ancora non si è colto che Diverso significa Altro, altra cosa. Si prosegue così indossando una serie di maschere per tenere su una scena che non potrà essere più la stessa, perché un evento così cambia le persone, come ogni esperienza importante.
Una volta realizzato questo, si appendono le scarpette al chiodo, ma non necessariamente con il significato che non si è più in grado, piuttosto come un qualcosa che ormai appartiene al passato, che non ci riguarda più, che è arrivato il momento di occuparci di altro. Ed è in quel momento lì che le persone iniziano a spogliarsi del superfluo e scendere sempre più in profondità dentro a se stessi, coltivare la propria vita interiore, aumentando lo spessore umano. È così che si riesce a dialogare onestamente con se stessi, salutare serenamente ciò che è stato, ricominciare a scrivere la storia: da una pagina bianca posso far comparire fate e maghi e folletti e tutto ciò che mi fa stare bene, per trasferirli poi nella vita reale, riprendendo in mano la mia vita.
“Da oltre dieci anni, Michela Carli si occupa di scrittura autobiografica e percorsi di crescita personale e professionale basati sulla narrazione. Attraverso la sua Officina delle Parole, promuove il valore della narrazione come strumento di autovalorizzazione, offrendo laboratori di scrittura, realizzando biografie personalizzate su richiesta e fornendo consulenza narrativa individuale.
Michela è specializzata nel Counseling espressivo ed è formatrice in tecniche di comunicazione e relazioni umane.”
Alcune Risorse utili
Metaversi
Questo e altro potete trovare in Metaversi, scritto da diciotto autori, alcuni pazienti, altri familiari. I diritti d’autore saranno devoluti all’Associazione Afasici Toscana, per permettere ai loro iscritti di continuare a fare attività terapeutiche. Metaversi è possibile acquistarlo qui
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