Chi subisce un ictus potrebbe non aver avuto nessuna avvisaglia nei giorni precedenti, per questo si chiama Ictus, dal latino “colpo”, per evidenziare il carattere repentino e violento di tale evento. In realtà c’è anche la possibilità che al contrario alcuni sintomi rivelatori di un ictus imminente ci siano stati, ma in pochi sanno riconoscerli e visto che spesso sono di carattere temporaneo, il più delle volte non vengono considerati. L’obiettivo di questa serie di articoli è di analizzare tappa per tappa tutte le fasi del percorso di guarigione del paziente che ha subito un ictus, partendo proprio dalla prima tappa, quella dell’evento, ma dopo questa premessa è doveroso mostrare un video di quali possono essere i segni di un ictus.
Torniamo al tema centrale dell’articolo: le tappe evolutive del paziente. In questo precedente articolo porto l’attenzione sulla possibilità di identificare nel paziente degli stadi di recupero ben definiti (leggi l’articolo). Lo scopo di identificare gli stadi che il paziente affronterà durante il suo difficile cammino verso la guarigione è quello di aiutare pazienti e familiari ad acquisire maggior consapevolezza su cosa dovrà essere affrontato e quali saranno le insidie. Tutti hanno l’obiettivo di recuperare dopo un ictus, per questo è importante che ognuno sappia collocarsi in una delle diverse fasi, in modo da orientare le proprie risorse al raggiungimento della tappa successiva.
Questo che stai leggendo, rientra in una serie di articoli volti a identificare e chiarire le varie tappe che il paziente si trova a vivere dal giorno in cui subisce l’ictus fino alla guarigione. Qui ci troviamo nella tappa iniziale quella dell’evento: quella dell’incontro con l’ictus.
Il Primo stadio: L’evento
Non esistono stadi precedenti a quello in cui la persona entra in contatto con l’ictus, proprio a causa della sua insorgenza acuta; violenta in altre parole. La rapidità con la quale si susseguono gli avvenimenti in questo primo stadio supera la capacità di ogni essere umano di poter affrontare la situazione con lucidità senza farsi assalire da panico e confusione; mantenere il sangue freddo è molto difficile. Partiamo dal malore del paziente che viene seguito nella quasi totalità dei casi dalla chiamata dell’ambulanza e dal ricovero in ospedale. I familiari che assistono a queste primissime fasi, nella maggiorparte dei casi non sanno nemmeno di che natura sia stato il malore del proprio caro e anche quando i medici confermano la diagnosi di ictus, non hanno idea di cosa sia e cosa comporti, allora cercano di ottenere più informazioni dal personale sanitario, ma come sappiamo i momenti di confronti tra familiari e sanitari del reparto non è semplice, quindi in quei pochi momenti di contatto i medici devono essere rapidi e diretti:
“Il vostro caro ha avuto un ictus cerebrale, si trova in gravissime condizioni, stiamo lavorando per stabilizzare le condizioni cliniche. È ancora presto per sapere se ce la farà”
Ognuno ha la propria storia e ognuno ha ascoltato questa frase con diverse declinazioni e sfumature, ma di base la sostanza è questa: il paziente è grave, la sua sopravvivenza non è garantita e i familiari sono assolutamente impotenti di fronte a tutto questo, hanno solo la necessità di sapere cosa sia accaduto e cosa accadrà.
Dall’altra parte c’è il paziente, che potrebbe non aver mai perso coscienza o al contrario trovarsi in uno stato di coma, ma a sua volta, in molti casi, è ignaro di cosa gli sia capitato. Il mio pensiero va sempre a quella grande fetta di persone che l’ictus lo subiscono all’emisfero sinistro del cervello e che oltre alla paralisi di un lato del corpo ( il destro) hanno problemi di linguaggio (afasia) che non gli consente di parlare e spesso anche di capire cosa gli venga detto. Non riesco ad immaginare uno shock più grande di sentirsi male, trovarsi in ospedale in stato confusionale, non muovere un buona parte del corpo, non poter parlare e non capire cosa dicano tutte le persone in mascherina e camici bianchi.
Il paziente è salvo
Quando i medici parlavano di situazione grave e di incertezza della sopravvivenza del paziente, stavano purtroppo parlando di fatti concreti, il tasso di mortalità di chi subisce un ictus è molto alto ( 20-30% nel primo mese dai dati ministero della salute). Per questo è diffuso il termine “survivor”, perché chi ce la fa è un sopravvissuto a tutti gli effetti. Qui non parleremo tanto delle possibilità di sopravvivenza, ma analizzeremo i danni e le possibilità di recupero. Anche in queste fasi purtroppo i momenti di confronto con i medici sono fugaci e le risposte sono ancora rapide e schiette:
“ Il vostro caro ha avuto un’ischemia/emorragia in una regione molto vasta del cervello e questo ha compromesso l’uso della parte destra/sinistra del corpo, è molto difficile parlare di recupero adesso, se non recupera entro i primi sei mesi/un anno, poi è difficile sperare nel recupero”
Dal primo giorno della mia carriera vivo nel mondo dell’ictus e non riesco proprio a immaginare cosa possa significare ascoltare una frase di questo tipo per chi invece di ictus è completamente a digiuno. Fino a poche ore prima stavamo vivendo una vita normale con il nostro familiare e nel giro di pochi secondi versa in un letto paralizzato, forse anche afasico, salvato per miracolo, e che è possibile non si alzi più dal letto o dalla carrozzina.
Senza ombra di dubbio i pazienti sono i protagonisti del dramma, la sofferenza a cui sono sottoposti è indicibile, ma non è possibile escludere i familiari da questo inferno: l’ictus è una bomba che scoppia in mano al paziente, ma che colpisce tutta la famiglia.
La famiglia prenderà la maggiorparte delle decisioni successive all’evento e per prendere decisioni consapevoli ed efficaci c’è bisogno di informazioni chiare e dettagliate
La resistenza di una nave si misura con la tempesta
Se la resistenza di una nave si misura durante una tempesta allora l’ictus è la tempesta perfetta per mettere alla prova la tenuta della famiglia. È proprio durante i momenti concitati e confusi della gestione delle prime ore e giorni in seguito l’ictus che si manifestano i primi problemi di gestione familiare. Le vite di ognuno di noi sono organizzate sul filo del rasoio, tra lavoro, faccende, commissioni e impegni inderogabili, mentre un evento inatteso come il ricovero di un familiare in ospedale a causa di un ictus, fa saltare qualsiasi organizzazione ribaltando l’ordine delle priorità. Da come la famiglia reagisce a questo stress test è possibile già fare una stima di come sarà la qualità della gestione futura del proprio caro. La qualità della gestione familiare sarà determinante per la qualità del recupero del paziente
I soldi contano, ma la famiglia conta di più
Questa frase che farà storcere il naso a molti sono pronto a sostenerla senza il minimo dubbio perché in carriera ho avuto la possibilità di assistere pazienti di tutte le estrazioni, dai più indigenti fino ai più benestanti. Prima di procedere nello sviluppo del paragrafo invito a rileggere il titolo con attenzione: i soldi contano, ma… È chiaro che una famiglia che già prima dell’ictus stentava ad assicurare ai propri membri i livelli minimi di sussistenza, con un ictus in casa, la situazione rischierà di essere oltremodo complicata, perché gestire un ictus, richiede anche uno sforzo economico che ricade sulle spalle della famiglia, tuttavia le possibilità economiche da sole non possono sostituirsi all’importanza della coesione di una famiglia che si stinge intorno al sopravvissuto e lo accompagna lungo il percorso verso la guarigione. Le famiglie più benestanti sono anche soggette a commettere molti errori in buona fede che rischiano di rendere oltremodo incerto il recupero dei pazienti, proprio perché possono permettersi di tutto allora proveranno di tutto lasciandosi attrarre da tutte le proposte terapeutiche, nuove o presunte tali, nazionali o estere, che promettono risultati rapidi ed efficaci, ma questo è un argomento che affronteremo in una fase successiva, quella dove pazienti e familiari iniziano a guardarsi intorno per cercare una soluzione che li faccia uscire dal pantano in cui sono finiti.
Preparasi alla fase successiva
Questa tappa del percorso che ho chiamato “Evento” è la più facile da individuare, perchè è ben delimitata da due avvenimenti specifici: il malore e l’inizio della fisioterapia. Possiamo temporalmente inquadrare questa fase nel primo mese dal giorno dell’ictus, che è mediamente il periodo di ricovero in ospedale prima che i pazienti vengano trasferiti in una clinica di riabilitazione convenzionata. Ma è una tappa riconoscibile anche se volgiamo la nostra attenzione alle emozioni che stiamo vivendo sia come pazienti che come familiari.
Ricordatevi il motivo di questi scritti: avere consapevolezza che ciò che il paziente e la sua famiglia fa parte di un percorso, fatto di diversi stadi e tappe obbligate. Conoscere la sequenza di queste tappe aiuterà chi si trova a viverle, a collocarsi all’interno di questa catena di eventi, a comprendere gli avvenimenti specifici di ogni tappa e di saper riconoscere le proprie emozioni.
Questo riuscire a vedersi all’interno di un processo che ha un punto di inizio e un punto di arrivo insieme all’analisi di tutte le caratteristiche di ciascuna fase, ha come scopo, quello di facilitare e velocizzare il passaggio da una fase all’altra. Saper riconoscere le proprie emozioni non ha lo scopo di imparare a controllarle, ma quello di imparare a conoscere più noi stessi e comprendere il ruolo di tali emozioni all’interno del nostro comportamento. Viviamo in una società in cui le emozioni sono spesso identificate come simbolo di debolezza, ma non ha alcun senso, perché le emozioni sono parte di noi e ci accompagnano in ogni singolo istante della nostra esistenza. Fin dai primi giorni della nostra vita il nostro comportamento si è modellato grazie alle emozioni che abbiamo vissuto e il modo in cui viviamo e generiamo le nostre emozioni si è modellato grazie al nostro comportamento, il tutto in un doppio vincolo che Gregory Bateson spiega perfettamente quando dice:
“Il fiume modella le sponde e le sponde guidano il fiume”
Prima di iniziare a identificare le varie emozioni che caratterizzano questa prima fase del nostro percorso, devono essere tenute a mente alcune premesse importanti sulle emozioni. La prima è che adesso verranno elencate e descritte isolatamente, ma le emozioni sono come gli ingredienti singoli di un cocktail elaborato, è difficile che si presentino isolatamente ed è anche per questo motivo che è difficile identificarle e interpretarle. La seconda premessa riguarda il giudizio sulle emozioni, ritengo infatti che non ci siano emozioni giuste ed emozioni scorrette, perché noi siamo le nostre emozioni, lo scopo di tale analisi è di guardare alle nostre emozioni la prima risposta comportamentale a determinati eventi; prima perché dal punto di vista temporale si trova nelle primissime fasi dell’azione. In altre parole le nostre emozioni servono da innesco immediato per organizzare un comportamento complesso e conoscere di più le emozioni e il comportamento che intendono favorire potrebbe offrirci degli strumenti in più per vivere consapevolmente determinati eventi e guidare il comportamento in modo sempre più funzionale ai nostri scopi. La terza e ultima premessa è che le emozioni essendo private e il frutto dell’esperienza di ciascun individuo saranno certamente diverse, in un ordine diverso e con significati diversi per ciascun lettore, per questo vi invito nei commenti a raccontare la vostra esperienza includendo anche le emozioni che avete provato nel momento dell’evento.
Lo Shock è la prima emozione ed è il risultato di una sovrannumero di stimoli e il ruolo dello shock è quello di mettere a riposo il nostro sistema nervoso centrale con il fine di ristorare la condizione precedente. Lo shock lascia spazio allo sconcerto quando ci rendiamo conto che stiamo elaborando troppe informazioni, intense e disordinate. Abbiamo nel frattempo però bisogno di prendere delle decisioni importanti per noi stessi o per i nostri cari e per questo ci sentiamo anche smarriti. Queste prime emozioni che ci permettono di reagire alla possibile sopraffazione da parte degli stimoli a cui siamo sottoposti, lasciano spazio alla paura. Chiediamoci, quando è che abbiamo paura? Quando non siamo in grado di prevedere il risultato di un evento potenzialmente lesivo o addirittura letale e minori sono le informazioni a nostra disposizione in grado di permetterci tali previsioni, maggiore sarà la probabilità di provare paura, un emozione in grado di orientare il nostro comportamento alla gestione immediata del pericolo, immobilizzandoci, fuggendo o reagendo alla minaccia. La paura è i grado di orientare inoltre i nostri sensi verso la raccolta di più dettagli che ci permetteranno di chiarire gli scenari futuri. I medici ci stanno dicendo cosa ci è accaduto, che la situazione è grave e che è improbabile che torneremo come prima, non provare paura potrebbe essere al contrario il sintomo di uno dei quadri clinici più caratteristici delle lesioni dell’emisfero destro che è l’anosognosia, ovvero la difficoltà di comprendere il proprio stato patologico.
Come anticipato le emozioni che stiamo elencando non si passano il testimone in maniera netta e soprattutto non corrono da sole, infatti, in questa prima fase di incertezza è possibile provare, ansietà che in assenza di possibilità di fare previsioni, per lo meno ci prepara a degli scenari possibili, in genere i peggiori e preoccupazione declinata spesso nello sconforto quando cerchiamo le risorse per far fronte all’avversità e sentiamo di non averne. È possibile che nei casi più gravi, quelli al limite dell’effettiva sopravvivenza del paziente si possa toccare la disperazione, ma c’è un’emozione che inizia a entrare in gioco ed è quella che incontreremo in molte altre tappe successive che è la speranza che nelle sue forme latenti o manifeste, si adopererà da contraltare a tutte le altre emozioni vissute da pazienti familiari (e anche terapisti) e che parteciperà in modo determinante al processo di presa di decisione.
Il primo ricovero in ospedale sta terminando, generalmente ci troviamo all’interno del primo mese dall’ictus e la struttura sta organizzando il trasferimento del paziente presso una clinica convenzionata con il SSN, da quel momento, termina la prima tappa dell’evento e inizia la seconda: quella del guerriero e del mostro.
Bibliografia
Melzack R, Pain and the neuromatrix in the brain, 2001
T. Watt Smith, 2015 The Book of Human Emotions: An Encyclopedia of Feeling from Anger to Wanderlust