“Valerio, con questa signora non possiamo fare niente, lei non capisce noi e noi non capiamo quello che dice lei. L’unico tentativo che possiamo fare è cercare di rinforzarle il lato buono per sperare che sia più agile negli spostamenti dalla carrozzina al letto“
A parlare era Gino, il tutor che avevo durante il periodo del tirocinio all’università presso una prestigiosa clinica romana. Gino aveva tutta la mia stima, per lo meno fino a quel giorno, perchè sapeva sempre cosa fare con tutti i pazienti. Ma quel giorno quella sua frase mi cadde addosso come una doccia gelata e sanciva la morte della riabilitazione. La paziente in questione era afasica con una paresi al lato destro del corpo e purtroppo quello che era accaduto con Gino in quell’ospedale romano accade tutti i giorni con moltissimi pazienti che a causa della loro afasia rischiano di non ricevere una riabilitazione all’altezza delle loro necessità.
In clinica era da poco arrivata una nuova paziente, una signora anziana con una forte emiparesi al lato destro del corpo e un grave disturbo del linguaggio, aggravato purtroppo dal fatto che la paziente non era in grado di dire nessuna parola, a esclusione di un’unica parola che ripeteva in continuazione “lodico“. Per tutti era diventata la signora Lodico, perchè qualsiasi domanda le si facesse lei rispondeva sempre e comunque con una serie di lodico mettendo anche un’intonazione che facesse sembrare stesse dicendo davvero qualcosa (prosodia).
Confesso che tra tutti i difetti di noi romani c’è anche quello di un uso smodato dell’ironia, in tutti i contesti e in ogni circostanza, forse anche con intenzioni amichevoli e per empatizzare con la paziente, per questo chiunque incontrasse la Sig.ra Lodico, dal portantino al direttore sanitario, passando per infermieri fisioterapisti e medici, con il sorriso le rispondevano sempre la stessa cosa: “Coraggio, sù , lo dica!“.
Lo stereotipo linguistico nell'Afasia
È urgente chiarire fin da subito che questa parola ripetuta dalla signora, tecnicamente viene definita stereotipo linguistico, ed è per intenderci una sorta di riflesso, ovvero un comportamento semplice, il più elementare a cui il paziente riesce ad accedere per comunicare. Linguaggio e movimento sono comportamenti che fanno capo a molti processi cognitivi in comune e per molti aspetti sono simili, infatti anche nel movimento in seguito a un ictus possiamo identificare degli stereotipi che non sono linguistici bensì motori e vengono definiti schemi elementari di movimento, tra l’altro fanno parte di quel fenomeno chiamato spasticità. Un esempio di schema elementare di movimento è la flessione del pollice della mano ad ogni tentativo di movimento, o il sollevamento del fianco durante il tentativo di camminare. L’urgenza di tale chiarimento deriva dal fatto che essendo un comportamento elementare, questo rappresenta un ostacolo per il recupero e deve essere oggetto di intervento da parte del professionista pertanto far esercitare il paziente nel movimento quando questi nell’eseguirlo mette in atto tali schemi elementari, si rischia di rinforzare tali schemi e non consentire al paziente di accedere a schemi di movimento più complessi e adeguati. Allo stesso modo ripetere al paziente il suo stereotipo, lodico lodico, mamma mamma, o qualsiasi esso sia significa rinforzare nel paziente questo comportamento comunicativo che invece vogliamo superare, non importa se questo sia fatto in buona fede o meno, non è tecnicamente corretto e permettetemi anche umanamente corretto nei confronti del paziente.
Misero mestiere
Gino sapeva trattare tutte le patologie, dalle sindromi neurodegenerative ai politraumi ortopedici, per questo quando ho saputo che la Sig.ra Lodico sarebbe stata la sua paziente, ero ansioso di vedere come avrebbe gestito la situazione perchè in pochi mesi mi sarei laureato anche io e si suppone che avrei dovuto saper fare quello che Gino mostrava di saper fare con tanta sicurezza. Per questo la sua frase ebbe l’effetto di distruggere in un momento non solo, la mia stima nei suoi confronti, ma anche l’infatuazione per la fisioterapia stessa. Che mestiere misero era diventata la fisioterapia se proprio quando il paziente più grave non poteva ricevere altro che un palliativo, tra l’altro esattamente inutile se Gino avesse considerato un altro problema che Lodico presentava, infatti oltre ad essere afasica, la paziente presentava anche disturbi aprassici, quindi anche il suo tentativo di rinforzare il lato buono era destinato a fallire se non avesse fin da subito messo in atto delle strategie di comunicazione e di costruzione dell’esercizio adatte.
Limiti del paziente o del terapista?
Mi sono riconciliato con quella fisioterapia che mi aveva deluso e tradito proprio quando iniziai a studiare la neurocognitiva di Perfetti perchè offriva degli strumenti validi per costruire gli esercizi anche con i pazienti afasici come Lodico e aspetto più importante affidava la responsabilità del problema da risolvere al terapista e non al paziente. Per alcuni potrà sembrare un’ovvietà che la responsabilità della cura sia del professionista, ma di fatto c’è responsabilità solo quando c’è la presa in carico del problema e quando viene messo in piedi il ragionamento scientifico che vede nascere dal problema le ipotesi di risoluzione e infine l’esercizio per mettere alla prova tali ipotesi. Senza questo processo purtroppo il problema rimane sulle spalle del paziente.
“I limiti del paziente non devono essere i limiti del terapista” C. Perfetti
Questa frase di Perfetti, riassume l’atteggiamento nei confronti della riabilitazione che più mi ha ispirato, infatti quel problema da elaborare non è un problema che appartiene solo al paziente, diviene un problema del riabilitatore una volta che il paziente vi si affida. Un problema è riabilitativo è un problema di mancanza di conoscenze e di ragionamento che deve essere risolto.

Nella piccola guida che ho creato in formato e-book ho messo 4 video di esercizi da eseguire con il paziente afasico, dove puoi vedere nella pratica come eseguire gli esercizi con un paziente afasico con disturbi della comprensione e senza produzione se non lo hai ancora scaricato puoi farlo gratuitamente da qui.
Comunicare con l'indicazione all'inizio
In questo articolo proverò a delineare a grandi linee le strategie da adottare. È certo che al paziente offriremo degli esercizi neurocognitivi quindi dove dovrà risolvere un problema percettivo, quindi sentire e riconoscere. Il paziente potrebbe dover riconoscere in quale posizione dello spazio si trovi una sua parte del corpo, quale articolazione gli si stia muovendo, o quale traiettoria si stia disegnando nello spazio utilizzando il suo braccio o gamba o ancora dal punto di vista tattile potrebbe riconoscere quale superficie stia sentendo sotto i polpastrelli o altre caratteristiche di altri oggetti. Dobbiamo innanzi tutto considerare che nei casi più gravi il paziente non sarà in grado di comprendere cosa diciamo quindi la spiegazione dell’esercizio non dovrà essere di tipo verbale, ma dovremo direttamente coinvolgere il paziente nell’esperienza dell’esercizio per poi richiedere di rispondere attraverso l’indicazione alla domanda implicita di riconoscere cosa abbia sentito. Ad esempio se ad occhi chiusi abbiamo passato sotto il palmo del paziente una superficie ruvida e vogliamo che intanto impari a distinguerla da una liscia, alla termine dell’esecuzione metteremo di fronte al paziente le due superfici chiedendogli di indicare. All’inizio il paziente potrebbe essere confuso e non indicare un bel nulla, a quel punto il terapista prenderà la mano “sana” del paziente e la condurrà verso la superficie corretta facendogli capire che è questo comportamento ciò che vogliamo da lui/lei. Questa facilitazione di guidare l’indicazione del paziente verrà portata avanti fino a quando il paziente inizierà spontaneamente a indicare una delle due superfici.
Nel caso di esercizi che richiedano il riconoscimento di un aspetto spaziale del movimento ovvero, la posizione di un arto o la traiettoria allora qui il segreto è quello di riprodurre graficamente le varie possibilità che il paziente dovrà riconoscere, ad esempio se il paziente deve riconoscere se la sua gamba è piegata o distesa allora il terapista disegnerà due gambe, una piegata e una distesa in modo che il paziente possa indicare una delle due.

Spero che l’esempio di Lodico possa averti aiutato a comprendere come poter interagire negli esercizi con il paziente afasico. In questo video racconto questo aneddoto della signora insieme a qualche suggerimento tecnico, era un intervento fatto per Aita e l’associazione afasici toscana in occasione della giornata mondiale dell’afasia.
Un tentativo di fare ammenda
Ad oggi ogni volta che mi trovo ad insegnare in un corso privato o presso una clinica, chiedo sempre agli organizzatori di affidarmi un paziente afasico e aprassico e quando spiego le caratteristiche che deve avere cerco sempre di descrivere con fedeltà la Sig.ra Lodico. Questa storia di Lodico è uno dei racconti che anticipano la parte pratica dei miei corsi, per aiutare i miei colleghi a comprendere non solo che con un paziente grave e afasico si può fare una riabilitazione neurocognitiva di alto livello, ma che è necessario farla proprio a causa della gravità dei problemi da risolvere. È anche un mio modo di chiedere scusa alla Sig.ra Rosa, perchè questo era il suo vero nome, di non averla saputo aiutare quando aveva bisogno di competenza e professionalità.