Cristoforo Golisch s’arrestò in mezzo alla via alzò le braccia; gridò:
– Beniamino!
Alto quasi quanto lui, ma secco e tentennante come una canna, gli veniva incontro pian piano, con gli occhi stranamente attoniti, un uomo sui cinquant’anni, appoggiato a un bastone dalla grossa ghiera di gomma. Strascicava a stento la gamba sinistra.
– Beniamino! – ripetè il Golisch; e questa volta la voce espresse, oltre la sorpresa, il dolore di ritrovare in quello stato, dopo tanti anni, l’amico.
Avete già capito la scena, Cristoforo incontra il suo amico beniamino ed ha la triste sorpresa di vederlo ammalato.
Beniamino Lenzi batté più volte le palpebre: gli occhi gli rimasero attoniti; vi passò solamente come un velo di pianto, senza però che i lineamenti del volto si scomponessero minimamente. Sotto i baffi già grigi le labbra, un po’ storte, si spiccicarono e lavorarono un pezzo con la lingua annodata a pronunziare qualche parola:
– O… oa… oa sto meo… cammìo…
L’avete riconosciuta? È La toccatina del maestro Pirandello, una novella che parla proprio di Ictus e di fisioterapia. L’incontro tra i due amici avviene a Roma agli inizi del 900.
Quell’uomo toccato dalla morte, quasi morto per metà e cangiato
Per Pirandello l’ictus è la morte che si avvicina e tocca con un dito il cervello, poi ci ripensa e lascia in vita il malcapitato.
Gli si mise accanto e si sforzò di camminare col passo di lui. (Ah, quel piede che non si spiccicava più da terra e strisciava, quasi non potesse sottrarsi a una forza che lo tirava da sotto!)
Gli venne la tentazione d’afferrargli quel piede, stirarglielo, prendere per le braccia l’amico e dargli un tremendo scrollone, per scomporlo da quell’orribile immobilità.
Qui c’è l’incredulità che viviamo tutti di fronte alla paralisi, davvero la tentazione è quella di scrollare questo corpo immobile, anche il paziente alle prese con la mano e la chiama”scema” che non vuole muoversi nonostante i comandi impartiti.
Lanciò di qua e di là occhiatacce alla gente che si voltava e si fermava a mirar col volto atteggiato di compassione quel pover uomo accidentato.
Pure qui Pirandello sembra conoscere il disagio e la rabbia di chi si sente osservato.
– Beniamino, dove vai adesso?
– Da dottoe… Esecìio de piee.
E si provò ad alzare il piede colpito.
Lenzi è un emiplegico sinistro e tecnicamente a meno che non fosse mancino non torna molto questa sua afasia, ma la cosa che mi incuriosisce adesso sono proprio questi esercizi, come sarà cambiata la fisioterapia in 120 anni di progressi?
Ma prima il colpo di scena:
Mentre desinava con la sorella vedova e il nipote, Cristoforo Golisch improvvisamente stravolse gli occhi, storse la bocca, quasi per uno sbadiglio mancato; e il capo gli cadde sul petto e la faccia sul piatto.
Una toccatina, lieve lieve, anche a lui.
Perdette lì per lì la parola e mezzo lato del corpo: il destro.
Qui un’altra particolarità osservata da Pirandello dal sapore tecnico: infatti Il Golisch da quel giorno inizio a parlare solo tedesco, no non è che l’ictus gli avesse dato il dono delle lingue, piuttosto Golisch era nato in Italia, e parlava Romanesco come me, ma da genitori tedeschi. L’ictus aveva spazzato via la lingua appresa ovvero l’italiano e lasciato integra quella nativa, la logica sta nel fatto che a livello cerebrale le lingue apprese e quelle native sottostanno a diversi processi cerebrali e quindi a diversi circuiti nervosi, è possibile anche il contrario ovvero che il paziente non sia in grado di parlare la lingua madre e riuscire invece meglio con le lingue apprese.
La sorella porta il Golisch dal medico è preoccupata perché il fratello dopo aver visto il Lenzi aveva giurato che se fosse capitato a lui un fattaccio simile non lo avrebbe accettato e si sarebbe ammazzato piuttosto, ma il medico risoluto:
Gli daremo a intendere che è stato un semplice disturbo digestivo, e vedrà che…
– Ma che, dottore!
– Le assicuro che lo crederà.
Come se la toccatina avesse portato via al paziente non solo la parola ma anche la sua intelligenza, questo non è accettabile e nemmeno vero.
Dopo un periodo di allettamento il Golisch inizia migliorare e si trova in una condizione simile a quella dell’amico Beniamino.
Si sentiva rinato. Aveva di nuovo tutte le meraviglie d’un bambino, e anche le lagrime facili, come le hanno i bambini, per ogni nonnulla.
Solo chi vive l’ictus tutti i giorni conosce questo aspetto e Pirandello ci stupisce ancora una volta per il suo spirito di osservazione: la facilità nel commuoversi o al contrario quella di trattenere le risa, ma un altro aspetto da sottolineare è ancora più profondo ed esistenziale. Il Golisch adesso vive la stessa condizione di malattia del suo amico e reagisce, non molla come aveva minacciato prima della toccatina.
Poi volle fare a meno del braccio del nipote, e girò appoggiato alla sorella soltanto e col bastone nell’altra mano; poi, non più sorretto da alcuno, col bastone soltanto; e finalmente volle dare una gran prova di forza:
– Oh… oh… guaddae… guaddae… sea battoe…
E davvero, tenendo il bastone levato, mosse due o tre passi.
Come fa a saperlo Pirandello che togliere il bastone è uno degli obiettivi più ambiti per il paziente, che è un simbolo di disabilità da abbandonare ahime anche a discapito della qualità del passo.
Se non che, la prima volta che potè uscir di casa, accompagnato dalla sorella, in gran segreto manifestò a questa il desiderio d’esser condotto alla casa del medico che curava Beniamino Lenzi. Nel cortile di quella casa voleva esercitarsi il piede al tornio anche lui.
La sorella lo guardò, sbigottita. Dunque egli sapeva?
– Di’, vuoi andarci oggi stesso?
– Sì… sì…
Stiamo per conoscere la fisioterapia del ‘900 e c’è da rimanerci di sasso.
– Beiamìo! – chiamò il Golisch.
Beniamino Lenzi non mostrò affatto stupore nel riveder lì l’amico, conciato come lui: spiccicò le labbra sotto i baffi, contraendo la guancia destra; biascicò:
– Tu pue ?
Nel cortile di quella casa, tra i vasi di fiori e i cassoni d’aranci, di lauro e di bambù, eran disposti parecchi attrezzi di ginnastica, tra i quali pertiche da tornitore, dalla cui estremità pendeva una corda, la quale, dato un giro attorno a un rocchetto, scendeva ad annodarsi a una leva di legno.
Come stavano messi nel ‘900, guardate invece oggi: robotica, realtà virtuale. Siamo sicuri? proviamo un po a capire che cosa c’era nella palestra del fisioterapista di Pirandello perché in fondo in fondo cambiano i materiali, ma il rischio è che il concetto alla base non sia cambiato molto.
Ve la faccio vedere com’è una pertica da tornitore, vedete questa è la corda che pende che gira intorno a un rocchetto che scende ad annodarsi a una leva di legno che il paziente ripetitivamente deve spingere per vincere la resistenza.
Quindi in definitiva sta eseguendo un rinforzo muscolare. Chiaramente fa sorridere tutto il meccanismo che sembra medioevale, ma proviamo a paragonarlo con qualche attrezzo dei giorni nostri.
La cyclette, questa è molto cara, ma alla base il proposito è sempre lo stesso: rinforzare il muscolo. Se su internet e digitiamo Stroke Exercise o Robotics non stiamo più nel 900 di Pirandello ma nel futuro di Asimov. È normale associare il progresso tecnologico all’efficacia, se vado dal dentista e questi aziona un trapano a pertica sarò preoccupato, ma qui si tratta di un intervento SUL paziente, il recupero invece avviene NEL paziente e passa attraverso la qualità delle esperienze.
Il tornio a pertica offre un’esperienza: di rinforzo, la cyclette da 5000 euro uguale, l’elastico colorato lo stesso, L’elettrostimolatore ancora peggio, perchè offre un’esperienza di rinforzo sì, ma questa non è nemmeno cosciente ed è al di fuori dell’intenzionalità del paziente.
Poi c’è la robotica e i visori con la realtà virtuale, ecco questi vanno un pizzico più in la del rinforzo muscolare, ma non così tanto quanto si è portati a pensare. Spesso gli apparati robotici sono collegati ad uno schermo dove viene proiettato uno spazio finito, c’è il cursore che si muove grazie al movimento del braccio aiutato dal braccio meccanico. Qui non c’è solo la tecnologia a sedurre il paziente, c’è anche l’invito al movimento che è quello che il paziente sente mancare.
Siamo al finale, allerta Spoiler. Qui il maestro decide di sottolineare un aspetto del paziente che confesso non solo non mi è piaciuto umanamente, ma non rispecchia l’essenza del paziente nemmeno dal punto di vista tecnico, secondo me. L’ultima immagine dei due è davvero penosa, entrambi decidono di andare a fare una sorpresa a Nidina una loro vecchia amica, che nel vederli così conciati resta sgomenta, e inizia a trattarli come dei bambini, li sgrida per aver intrapreso quella gita, poi anch’ella si pente di come li ha accolti e per come loro hanno reagito, infatti il lenzi si commuove e il Golisch invece fa l’offeso, per questo decide di offrirgli dei biscottini e qui c’è la scena che più mi lascia l’amaro in bocca.
Cristoforo Golisch, rimasto mortificato e ingrugnato, non vuole accettar nulla; Beniamino Lenzi accetta un biscottino e lo mangia accostando la bocca alla mano di Nadina che lo tiene tra le dita e finge di non volerglielo dare, scattando con brevi risatine:
– No… no… no…
Bellini tutt’e due, adesso, come ridono, come ridono a quello scherzo…
Quest’ultima immagine data dal maestro annichilisce l’esistenza eroica dei pazienti e dei familiari che reagiscono al nuovo evento con tutt’altre fattezze e lo stesso vale per il fisioterapista qui nella novella è assente appare solo come proprietario delle macchine da rinforzo. Questa è una novella, ma è un frammento della nostra cultura, e noi tutti, chi in una posizione chi in un’altra viviamo nello stesso contesto descritto da Pirandello e quindi sta a noi scrivere una storia diversa.